Premessa
Come già affermato in un precedente articolo, (Le buone caratteristiche del medico in psicoterapia e nel counseling olistico), un serio professionista deve prendersi cura di se stesso per tutta la vita; questo oltre a essere un diritto che egli deve riconoscersi è anche un preciso dovere nei confronti dei pazienti.
Le considerazioni che vado qui a illustrare scaturiscono dall’auto- osservazione, in quanto io stesso medico, ma anche dalle esperienze da me maturate in qualità di terapeuta di altri colleghi e dalla mia intensa e lunga esperienza di docenza a medici, psicologi e farmacisti.
Voglio così offrire un contributo al superamento di uno stato di fatto: la tendenza del medico (e delle diverse figure professionali che si occupano della salute altrui) a trascurare se stessi, a provare imbarazzo rispetto al proprio star male e ad avere difficoltà e resistenza nel rivolgersi a un altro collega.
Il terapeuta curi se stesso affidandosi ad altri operatori della salute; pratichi esperienze formative che lo rendano auto consapevole! Queste attività non sono da considerarsi meno importanti di un, per altro, doveroso e continuo impegno nell’ampliare, approfondire e aggiornare le tematiche tecniche.
Difficoltà e resistenze del medico a prendersi cura di se
Tali difficoltà e ritrosie si manifestano ancor più se si necessita di uno specialista in una branca uguale o analoga alla propria o quando sarebbe necessario prendersi cura di alcuni aspetti emozionali ed esistenziali relativi al proprio essere persona oltre che al proprio essere medico.
I motivi alla base di queste difficoltà sono numerosi: alcuni comuni a tutti gli altri esseri umani, altri derivanti dall’esercizio professionale.
Tra quelli specifici elenchiamo i più frequenti e verosimili: un’identificazione rigida nel ruolo di medico che si sostanzia nell’apparire piuttosto che nell’essere, il venire incontro più a richieste burocratiche piuttosto che di salute, l’aderire a stereotipi e pregiudizi, la ricerca di un potere falsamente rassicurante, il conformismo, l’essere vittima di immagini idealizzate e onnipotenti di sé che portano a stasi e che, quando frustrate e/o non confermate dalla realtà, provocano svilenti sentimenti di auto svalutazione. Più questi aspetti sono pervasivi, più la professione diventa gravosa e destabilizzante; queste notevoli disfunzionalità possono paradossalmente rendere più difficile rivolgersi alle cure di un collega.
D’altronde, le aspettative onnipotenti verso se stesso possono essere rafforzate da frequenti pregiudizi e dalle distorte interpretazioni sociali che fanno del medico una figura inattaccabile dal male in quanto detentore di un sapere che si presume illimitato, precluso ai molti e, quindi, avvolto da un alone magico.
Ciò innesca un circolo vizioso che può sfociare in alcune manifestazioni
clamorose quali, tra le altre, la prescrizione massiccia e distorta di farmaci oppure lo stato di BurnOut.
Questi eventi così penalizzanti e dolorosi avrebbero bisogno di cura, ma la prospettiva di affidarsi a un collega può, dunque, essere ostacolata e ritardata dal vivere l’evenienza come una dichiarazione di un fallimento, una sconfitta del proprio sapere, un venir clamorosamente meno alle attese interiori di natura superegoica.
Eppure, anche alla luce di quanto esposto, è evidente l’enorme difficoltà della professione medica, difficile e pericolosa; sarebbe, quindi, logico e auspicabile aspettarsi una maggior riflessione su se stessi e sui propri vissuti.
Una professione difficile e pericolosa
Le numerose difficoltà del medico sono molto diversificate in ordine all’età, sesso, posizione gerarchica, ambito lavorativo e specializzazione.
Tra le tante citeremo solo le principali: innanzitutto il dover convivere quotidianamente con la malattia e la sofferenza, le pressioni esercitate dal paziente e dai suoi familiari, il peso delle responsabilità e del dover prendere decisioni cruciali, l’aggiornamento professionale obbligatorio che, a volte, non corrisponde alle vere esigenze della propria attività.
Il quadro si completa e si complica aggiungendo i non sempre buoni rapporti con colleghi, gerarchie, datori di lavoro, istituzioni, burocrazia; a tutto ciò si devono sommare alcune problematiche specifiche e fenomeni evidenziatisi negli ultimi decenni riguardanti l’intera società e l’attività medica: la disoccupazione, la sottoccupazione e il sempre più frequente fenomeno del mobbing e delle aggressioni.
Una possibilità per il cambiamento
Pertanto, è convenienza del medico essere persona nel senso più ampio e completo del termine, ma, soprattutto, persona sanamente disponibile a fare i conti con le proprie sofferenze, i propri conflitti e i propri lati ombra; ciò permette che questi elementi non solo non rappresentino fattori di disturbo, freno, interferenza, distorsione della propria attività, ma diventino fonte da cui trarre spunti per maggiore e miglior comprensione e accettazione degli altrui travagli e afflizioni.
Ciò al fine di non ricoprire più un ruolo limitante e autolimitante ma di svolgere efficacemente la funzione che si è scelta: quella di aiutare chi si rivolge al medico per migliorare la propria qualità di vita.
Il riconoscimento del proprio malessere e l’affidarsi ad altri colleghi rappresenta il primo passo utile per affrontare proficuamente le situazioni critiche con maggiore autostima, resilienza, sicurezza decisionale, efficacia, creatività, rinnovato entusiasmo, presenza e tolleranza.
Esiste la possibilità di ottenere questo risultato intraprendendo percorsi che producono una maggiore qualità della propria esistenza e della propria vita professionale. Lo si può fare sia attraverso esperienze formative di gruppo come i Seminari interattivi di Floriterapia di Bach, che attraverso percorsi individuali di Counseling Olistico Umanistico.
Dott. Michele Iannelli