La mia vita era diventata impossibile.
Qualsiasi cosa facessi era destinata a non avere alcun riscontro e tutte le porte mi si chiudevano in faccia.
C’era gente che aveva paura di me, che, per esempio, rifiutava di partecipare a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io”
– Mia Martini
La scena di un crimine
È la mattinata del 12 Maggio del 1995. I Vigili del Fuoco trovano il cadavere di una donna nella stanza da letto di un anonimo appartamento; li ha chiamati un signore che per due giorni ha tentato invano di contattarla per motivi di lavoro. La vicenda si svolge a Cardano al Campo, una cittadina in provincia di Varese.
Nessuna donna è una donna qualunque, ma quella lo è ancor meno delle altre: si tratta, infatti, di Domenica Rita Adriana Bertè, detta Mimì, in arte Mia Martini, di professione cantante e cantautrice… immensa.
È riversa senza vita su quel giaciglio da due giorni. La porta dell’appartamento è risultata chiusa dall’interno.
I medici legali, dopo due mesi, emettono un parere definitivo: il decesso è causato da una overdose di cocaina. L’omicidio è, dunque, escluso; un dubbio rimarrà per sempre: incidente o suicidio?
Quel che è certo è si tratta dell’epilogo di un misfatto iniziato circa venticinque anni prima, un crimine collettivo, tanto infame quanto evanescente: avvelenamento da superstizione!
L’amara vicenda di Mia Martini
La Bertè nasce in una famiglia complicata e complessa: un padre severo insegnante di latino e greco, una madre maestra elementare e fisarmonicista, una sorella maggiore con la “testa sulle spalle” e i “piedi per terra” e altre due sorelle con velleità artistiche.
Mia Martini da bambina è semplicemente Mimì, ma già affascina tutti con la sua bellezza, vivacità e passione per il canto.
Agli inizi degli anni 60 si avvia la sua carriera artistica e professionale. Il successo ha un crescendo velocissimo, meritato e strepitoso.
Il legame conflittuale con il padre probabilmente offusca questo periodo di enormi soddisfazioni; un rapporto tarlato che, come spesso avviene, produrrà un’impronta interiore e relazionale che le renderà tortuosi tutti i rapporti, soprattutto quelli sentimentali.
I suoi tormenti, in questo fecondo periodo, sono, però, anche il fertile terreno su cui far prosperare doti per affinare ancor di più il suo talento artistico. Non a caso, nel 1971, è pubblicata, “Padre davvero”, una delle canzoni più belle e dirompenti che trae ispirazione dalle sue vicende private.
Il primo Febbraio del 1972 accade l’evento che graverà su di lei come un macigno per tutto il resto della vita: due musicisti del suo gruppo muoiono in un incidente stradale durante uno spostamento da una città all’altra nell’ambito di una tournée. Un impresario romano che le aveva proposto un’esclusiva da lei rifiutata prende la palla al balzo per spargere la voce che Mia Martini è una iettatrice.
Lei all’inizio sottovaluta l’infamia e, ironica e intelligente come è, ci scherza sopra. Non si rende conto che da quell’uomo spregevole è scaturita una scintilla che farà propagare un fuoco epidemico che la brucerà di lì a poco.
Non c’è nulla di cui sorprendersi: vengono allo scoperto tutte le potenziali e mediocri nefandezze dell’ambiente “artistico musicale” romano: gelosie e invidie inconfessabili, falsità, una totale assenza di empatia, una superficialità da bar dello sport, scaramanzie meschine, raffiche di pettegolezzi, crudeltà e una nevrotica capacità di inventare inesistenti connessioni tra eventi negativi e il presunto influsso nefasto della grande artista.
Mia Martini è travolta ed è straziata, soprattutto, quando si accorge che persone che stimava come intelligenti e amiche la evitano, fanno gesti di scongiuro in sua presenza, dapprima tentando di nasconderli e, poi, sempre più platealmente.
Sperimenta tutti i giorni un inaudito incubo asfissiante: chi organizza concerti, trasmissioni radiofoniche e televisive rifiuta sistematicamente la sua presenza; le sembra di avere un’allucinazione quando osserva quelle persone che, col volto falsamente contrito, ma sempre più aggressivo, le spiattellano un’ipocrita giustificazione: nessuno del mondo dello spettacolo (dai cantanti alle maestranze) sarebbe disposto a partecipare a qualsiasi evento in sua presenza.
Si è, dunque, scatenata un’ignobile follia collettiva contro un capro espiatorio designato, più o meno inconsciamente, per sfogare le tensioni di un ambiente malato!
Travolta da tutto questo, nel 1983, decide di dare l’addio alle scene e si lascia andare, rannicchiata nella sua disperazione.
Non tutti, però, in quegli anni, si fanno trascinare nel folle e criminale gorgo della superstizione; tra questi si distingue Lucio Salvini, un valentissimo dirigente delle più importanti case discografiche italiane. Lui ha molte virtù che fanno al caso di Mia Martini: ha sempre compreso la sua tormentata personalità, ha sempre creduto in lei come artista e forse ne è stato anche innamorato.
Soprattutto, grazie a lui Mimì si convince a tornare sulle scene.
È il trionfo! Il capolavoro “Almeno tu nell’universo”, da lei interpreto al Festival di San Remo del 1989 fa alzare il pubblico in piedi in un gioioso delirio di emozioni esplosive. in riproduzione…
Altre canzoni come “La nevicata del ’56” e “Gli uomini non cambiano” decretano una nuova era di poderosi consensi di pubblico; successi che, però, non bastano a curare le antiche ferite o, forse, che non sono per nulla la cura giusta per giungere a una sufficiente serenità.
Mimì: almeno tu nell’universo!
Questo articolo è una dichiarazione di rabbia ma, soprattutto, d’amore.
La rabbia per un’Italia (non tutta per fortuna) che, alcune volte, si accanisce contro i suoi figli migliori e premia, invece, le mediocrità.
La rabbia per chi non si rende conto che chi è famoso è una persona come tutte le altre e deve essere rispettata e aiutata come tutte le altre.
L’amore per la vera arte e per una persona splendida e rara come Mimì… almeno lei nell’Universo.
DOTT. MICHELE IANNELLI
Medico, Specialista in Psicologia Clinica, Esperto in Neuroriflessoterapia Personalizzata (Medicina Punti Dolorosi), Psicoterapeuta, Omeopata, Floriterapeuta e Trainer di Camminata Metabolica.
Via Pozzuoli 7 Studio interno b3 - 00182 ROMA (Metro San Giovanni) - Telefono 3386151031 Email: olopsi@libero.it